Monte
Celeste
Monte
Celeste si erge nel Lazio centrale, tra la valle del
fiume Aniene, affluente sinistro del Tevere e quella del
Sacco, affluente destro del fiume Liri-Garigliano. Esso
inizia in contrada Sbarre, gradualmente si innalza fino
all'altezza di 815 metri sul. livello del mare e con la
Mora Valea o Vallea digrada in contrada
Vaccarecce. Sulla zona più alta di Monte Celeste
sorge Bellegra, denominata Civitella dal secolo X al
secolo XIX.
Il
fianco Est di Monte Celeste, che guarda verso Subiaco,
scende a precipizio sul territorio sottostante; il lato
Ovest, volto verso San Vito, digrada in massima parte
con l'impressionante pendenza del 60 % circa. Monte
Celeste è al centro di un immenso anfiteatro di monti
che formano un imponente, ed incantevole corona, ricca
di vivaci forme.
A
Nord si ergono i Monti Tiburtini, e spicca monte
Gennaro. Seguono, allineate, le tre vette dei Ruffi,
denominate volgarmente le mammelle d'Italia. L'arco
montuoso segue con i Monti Carseolani ed i Simbruini
settentrionali, nei quali si annidano Oricola e Cervara
di Roma. Ad Est i Simbruini centrali e meridionali. Fra
loro emergono: Monte Calvo, che rimboschito con conifere
dopo la seconda guerra mondiale
sta ricoprendosi di verde; Monte Livata, sede di
sport invernali; Monte Talco, nelle cui grotte il
giovane Benedetto da Norcia si santificò e maturò il
disegno di fondare il monachesimo occidentale; Monte
Autore, che durante l'inverno, coperto a lungo di neve,
pare un vecchio incappucciato.
Sul
fianco occidentale il celebre e venerato santuario della
SS. Trinità, annualmente visitato da migliaia di
credenti.Monte Viglio, alto 2156 metri giganteggia
sul sistema; alle sue falde nasce il fiume Aniene, che dà
il nome a tutto il bacino imbrifero.A Sud i Monti Ernici,
la fertile pianura della Ciociaria ed i Monti Ausoni ed
Aurunci. Ad Ovest i Lepini
nei quali troneggia la vetta Semprevisa, alta
1536 metri. Dopo la stretta zona pianeggiante;
percorsa nell'Evo Antico dalla Via Latina, i Prenestini
chiudono l'immenso anfiteatro. I monti, che circondano
Monte Celeste, non sono ricchi di vegetazione ed anche
durante il periodo estivo presentano zone brulle.
D'inverno si ammantano di neve e formano un diadema
candidissimo e luminoso intorno ad esso. Il territorio
della valle dell'Aniene è ondulato. Colline coltivate a
cereali e ricche di viti ed olivi succedono a colline
verdi di castagneti, fino ai piedi dei monti. In
luoghi sicuri e pittoreschi sorgono vetusti e storici
castelli. Da monte Celeste possono contemplarsi a Nord
ed Est, nella terra degli Equi: Ciciliano, Cerreto,
Rocca S. Stefano; Rocca di Mezzo,. Rocca Canterano,
Canterano, il territorio di Arsoli, Oricola, Cervara di
Roma, Subiaco con la sua medioevale rocca abbaziale, i
celebri monasteri sublacensi, centri di religiosità e
di cultura, Arcinazzo Romano annidato tra i Monti
Affilani ed il grazioso Monte Altuino, il territorio di
Affile, e Roiate adagiato sul fianco del maestoso monte
Scalambra.
La
valle del Sacco, con la sua testa nei boschi di
Montecasale, si stende verso il meridione, allargandosi
nella Ciociaria fra i Monti Ernici ed i Lepini. I
suoi fianchi, costituiti inizialmente da fertili
colline, ricche di vigne e di oliveti, produttori di
ottimo vino e raffinato olio, prolungandosi, lasciano il
posto alla pianura. Gli Ernici la resero celebre. Nel
varco, lasciato dai Lepini e dai Prenestini, ha timidi
inizi il territorio pianeggiante, che si protende fino
al Mar Tirreno; fu abitato dai bellicosi Volsci. Da
Monte Celeste ad Ovest e Sud, sulle vette e sui fianchi
dei monti, sulle colline ed in pianura, si osservano: un
lembo di S. Polo, Guadagnolo, La Mentorella, Capranica,
Rocca di Cave, S. Vito, Velletri, Anzio, Nettuno,
l'azzurro Tirreno, Artena, Valmontone, Colleferro,
Segni, Montelanico, Carpineto, Gavignano, Gorga,
Sgurgola, Morolo, Rocca Massima, Anagni, Ferentino,
Paliano, Olevano Romano, le terre del Serrone, del
Piglio e di Acuto.
Il
Panorama, che si apre intorno a Monte Celeste, è
vasto, vario e splendido in ogni stagione dell'anno,
presentando ubertose pianure, ridenti colli, austeri
monti, con molteplici colori e forme e numerosi
cittadine e paesi, che durante il giorno ricordano le
vicende del passato e nelle ore notturne sembrano
costellazioni luminose.Gli osservatori ne restano
incantati, lo incidono nella loro fantasia, lo
rammentano con perenne emozione. Monte Celeste al pregio
panoramico associa la sua millenaria storia. Vi ebbero
stanza gli Ernici, gli Equi, i Romani. I maestosi avanzi
poligonali, la strada consolare, le tipiche opere
cementizie romane, i reperti archeologici in metallo, in
marmo ed in ceramica, le sue vicende di libero comune,
il complesso edilizio, le chiese, le tradizioni
religiose, culturali e sociali ne proclamano la vitalità.
Gli scrittori ne hanno lasciato elogi entusiastici.
Valga
per tutti ciò che scrisse il reverendo don Vincenzo
Maria Ronconi, vicario generale dell'abbazia nullius di
Subiaco, nel manoscritto della sua visita pastorale del
1791, visita effettuata per mandato del pontefice Pio
VI. “ Civitella sorge su un alto monte, ma il suo
aspetto è così bello ed elegante che piace anche a chi
non lo voglia. Domina all'intorno l'intera abbazia e le
pianure delle diocesi di Palestrina e di Anagni, e da
questa sua splendida posizione gode, giubila e saluta le
stesse onde del mare. (Il Mar Tirreno).
L'aria
è piacevolissima e saluberrima e le comode strade offrono
gradite occasioni a passeggiare. Possiede un vastissimo
territorio ed abbonda di ogni genere di prodotti
(rinomati per qualità e quantità)”.
Inizio pagina
Il primo complesso
edilizio sorto sul Monte Celeste
Opinioni di Storici
Nel secolo XIX alcuni storici hanno tentato di
rintracciare il nome, appartenuto all'abitato eretto
sul Monte Celeste. Antonio Nibby scrive testualmente:
« Io credo di ravvisare in questo luogo la posizione
di “Vitellia”,
città ricordata da Livio, Plinio, Svetonio e Stefano
che Bitella la chiama. Imperocché
quella colonia fu fondata sul territorio degli Ernici,
onde tenere a freno gli Equi. Di parere contrario è
lo storiografo Giuseppe Marocco, che cosi si esprime:
“Una grande e forte città vi era e non si esclude
fosse l'antica menzionata "Belecre" degli
Equi ».
Gregorio
Iannuccelli non è riuscito a maturare una sua personale
opinione e perciò si limita a riferire le
supposizioni del Nibby e del Marocco. Egli così
espone il suo pensiero: “.... Civitella è il
residuo di una grande città, eretta forse sulle
rovine dell'antica Bellegra secondo il Marocco; Nibby
poi opina che essa occupi l'acropoli dell'antica
Vitellia, la quale stendevasi verso la chiesa di S.
Sisto ».
Il
Marocco, esprimendo la sua opinione, si mostra
incerto, ne convalida la sua affermazione, citando
fonti.
Il Nibby
appoggia la sua intuizione sugli scrittori romani:
Livio, Plinio, Svetonio e sullo scrittore Alessandrino
Stefano. Noi riteniamo probabile la sua persuasione
per due motivi:
·
perché la città Vitellia è certamente
esistita; ne sono testimoni gli storici su
menzionati;
·
perché alcune indicazioni geografiche
di Tito Livio ci orientano verso il Monte Celeste.
Procediamo
ordinatamente.
La città Vitellia è esistita
Lo
storico romano Tito Livio (59 a.C. 17 d.C.), narrando
le tristi vicende di Cneo Marcio Coriolano nella
storia di Roma, ci tramandò che Coriolano, dopo aver
occupato e consegnato la città Circei e le altre città
romane: Satrico, Longula, Polusca e Corioli di recente
conquista, ai Volsci, conquistò lavinio e « da qui
varcando per strade traverse la Via Latina, prese da
ultimo Corbione, Vitellia, Trebio, Labico, e Pedo »
Lo
stesso Tito Livio asseri che « Gli Equi si
impadronirono di Vitellia, colonia romana, situata sul
loro territorio ». Gaio Svetonio Tranquillo (75-160
d.C.) nella sua opera: « De Vita Caesarum », quando
tratta di Vitellio, scrive: « Abbiamo un libello di
Quinto Elogio, diretto a Quinto Vitellio, questore del
Divo Augusto, in cui si legge che... indizi di questo
casato (la gente dei Vitelli) rimasero a lungo nella
via Vitellia, che va dal granicolo sino al mare ed
anche in una colonia dello stesso nome, di cui i
Vitelli un tempo avevano voluto assumersi, con le sole
forze della loro gente, il compito della difesa contro
gli Equi.
Le indicazioni
geografiche di Tito Livio orientano verso Monte
Celeste
Dalla
narrazione dello storico romano Tito Livio emergono
due circostanze, riguardo all'antica città di
Vitellia: 1) che partendo da Lavinio si accedeva ad
essa, attraversando la Via Latina; 2) che essa era una
colonia romana “in agro Aequorum”
(nei pressi del territorio degli Equi,
all'epoca dell'espugnazione. Svetonio ricorda Vitellia
come colonia romana da difendersi contro gli Equi. Se
si pensa che la Via Latina partendo da Roma,
oltrepassato il monte Algido, penetrava e si snodava
sulla distesa pianeggiante, situata fra i Monti Ernici
ed i lepini, dirigendosi verso la Campania Felice, e
che era perciò a pochi chilometri da Monte Celeste,
si può congetturare come probabile, a nostro avviso,
che gli avanzi edilizi di Monte Celeste siano
appartenuti all'antica Vitellia, espugnata, come
Labico, da Coriolano prima di marciare su Roma. E'
significativo peraltro che nessun altro luogo della
zona possiede elementi, per rivendicare a sé il nome
di Vitellia come Monte Celeste.
Questa
probabilità è avvalorata dalla nota geografica, indicata
da Livio, narrandoci la caduta di Vitellia nelle mani
degli Equi, nel quarto secolo di Roma. Egli infatti
asserisce: «Gli Equi si impadronirono di Vitellia,
colonia romana, situata
in agro Aequorum". Essendosi però
l'occupazione verificata di notte per tradimento, la
massima parte dei coloni fuggi liberamente dalla parte
opposta della città e raggiunse Roma ». Secondo la
narrazione liviana Vitellia era - in agro AEQUORUM -
ai suoi estremi confini, giacché, se si fosse trovata
nel territorio interno degli Equi, i coloni romani non
avrebbero avuto scampo e non avrebbero potuto
raggiungere Roma indisturbati, fuggendo dalla parte
opposta della città.
Inoltre
la sua espugnazione era così difficile che gli Equi
vi riuscirono soltanto con la connivenza di traditori
e durante il riposo notturno dei coloni, benché
fossero un popolo guerriero.
Pensando
che gli Equi erano stanziati nella Valle dell'Aniene,
per ammissione di tutti gli storici, ci sembra che i
dati fornitici da Tito Livio convengano egregiamente a
Monte Celeste. Difatti Monte Celeste sovrastava il
territorio degli Equi antichi; fu la zona di confine
fra il territorio degli Equi e degli Ernici; era ed è
tuttora difficilmente scalabile dal versante dell'Aniene;
i coloni romani, per. la parte opposta al Sublacense,
potevano fuggire e rifugiarsi in Roma, giacché gli
Ernici ne erano confederati.
In
questo contesto storico, ci pare che si possa ritenere
molto probabile, se non certa, l'ubicazione della città
Vitellia sul Monte Celeste.
Basandoci
su questa solida probabilità, sfiorante la certezza
morale, riteniamo che gli avanzi archeologici di Monte
Celeste siano parte dell'antica Vitellia.
Epoca
della fondazione
di Vitellia
Basandoci
sulle fonti a nostra, disposizione, possiamo affermare
che Vitellia certamente esisteva già nel secolo VI
a.C. e non può escludersi che abbia avuto origini più
remote. Cneo Marcio Coriolano infatti, esiliato
nel 491 a.C., essendo una città potente e temibile,
la espugnò, prima di marciare contro Roma, come ci
narra Tito Livio. Un'altra conferma di questa data
l'abbiamo dai consistenti avanzi. di mura poligonali
di primo tipo, che secondo gli esperti furono
costruite in Italia dal VII secolo a.C. Vitellia non
fu fondata dai Romani, che appartennero al gruppo
etnico dei Latini e vissero inizialmente sui colli di
Roma
e nelle
loro adiacenze, circondati da altri gruppi di Latini,
stanziati dentro il Vecchio Lazio. Vitellia giaceva
fuori dell'Antico Lazio, sul confine del territorio
degli Equi e degli Ernici e perciò fu fondata da uno di
questi due popoli. Con fonti a nostra disposizione è
impossibile indicare con certezza quale di questi due
popoli le abbia dato l'esistenza. Noi riteniamo più
probabile che Vitellia sia stata fondata dagli Ernici,
perché Coriolano, confederato degli Equi, non la
riconsegnò a loro, dopo l'occupazione; perché gli
Equi, accanitissimi nemici di Roma ed in frequenti
guerre contro di essa dai primi anni della Repubblica
non avrebbero aspettato il 360 di Roma, per
rioccuparla, se ne fossero stati spogliati; perché
fisicamente appartiene più alla valle del Sacco che a
quella dell'Aniene, dove rispettivamente abitarono
Ernici ed Equi; perché la maestosità delle mura
poligonali presentano più analogia con quelle degli
Ernici (Alatri, Ferentino ecc.) che con quelle degli
Equi.
Vitellia Romana
Per
testimonianza di Tito Livio, Vitellia era colonia
romana, quando fu occupata dagli Equi nel 360 di Roma (=
393 a.c.) ma in qual tempo era stata aggregata al
territorio romano e quando vi era stata condotta la
colonia?
Mancano
fonti specifiche, per dirimere le due questioni. Noi
pensiamo che Vitellia sia divenuta territorio romano
all'epoca della disfatta, subita dagli Ernici, per opera
dei Romani nel tempo stesso, in cui Coriolano abbandonò
l'assedio di Roma cioè nel 491 a.C. circa.Tito Livio
non ci narra le cause del conflitto, nè come esso si
svolse, ci trasmette però le durissime condizioni di
pace.I Romani imposero ai vinti Ernici la consegna di
due terzi del loro territorio e vi dedussero colonie
latine e romane .La nostra opinione si fonda sia sulla
ubicazione di Vitellia, la quale deve porsi
indubbiamente sulla zona settentrionale dei territorio
degli Ernici, considerando gli elementi storici e
geografici, trasmessici da Tito Livio e sia sul fatto
evidente che i Romani incorporarono alle loro terre la
regione ernica del Nord.L'occupazione romana non comportò
per sé l'immediata deduzione di una colonia nel
territorio conquistato. Il Fraccaro ritiene che
Vitellia sia divenuta colonia nel 395 a.C., che sia
stata colonia latina e che sia stata distrutta nel 393
a.C., ma non indica le fonti specifiche della sua
opinione. Noi accettiamo la data della costituzione
della colonia, ma fondandoci sull'esplicita
testimonianza dello storico Tito Livio, riteniamo che
Vitellia sia stata colonia romana e che disgregata nel
393 a.C., durante l'occupazione degli Equi, per ]a
fuga ed il rifugio in Roma, della massima pane dei
coloni, sia stata ricostituita, dopo la riconquista
della città, operata dal console Lucio Lucrezio.
Inizio pagina
Probabile trasformazione del vocabolo “vitellia” in quello di “civitella”
Abbiamo
accettato l'opinione dello storico Antonio Nibby
sull'ubicazione di Vitellia sul Monte Celeste,
dimostrando la sua fondatezza, ma ne abbiamo respinto la
supposizione che sia restata deserta dal secolo IV a.C.,
in cui la maggior parte dei coloni romani fuggirono a
Roma, in seguito all'occupazione da parte degli Equi.
fino al 967 d.c. Questo nostro atteggiamento ci pone di
fronte ad una grave difficoltà. Quando, come e perché
il nome di Vitellia fu cambiato in quello di Civitella?
Per
Antonio Nibby e per quanti concordano con lui, la
risposta è molto facile. Gli abitanti di Monte Celeste
del secolo X, trovandosi sugli avanzi maestosi di una
antica città ed ignorandone il nome, credettero
conveniente riallacciarsi al passato, denominandola
Civitella. Il vocabolo «civitella», infatti,
considerato in sé stesso, deriva evidentemente dal
termine latino “civitas-civitatis”; è diminutivo
di « civita » e quindi equivale a “piccola città”.Noi
abbiamo sostenuto che Vitellia sia stata sempre abitata
e riteniamo probabile una nostra audace ipotesi
filologica per il passaggio dal nome di Vitellia a
quello di Civitella. Eccola. Le parole nei libri antichi
venivano scritte legate, senza spazi intercorrenti. Ciò
rendeva molto difficile l'apprendimento delle lingue.
Spesso, come del resto anche attualmente, alcuni
vocaboli di uso comune venivano abbreviati, scrivendo la
sola prima lettera iniziale.Partendo da queste
considerazioni, non è improbabile che la frase «civitas
Vitellia » sia stata scritta, indicando con « C. »
puntata l'appellativo « civitas » ed aggiungendo
successivamente il nome proprio « Vitellia » per
disteso, in tal modo da ottenere la seguente scrittura:
« C. Vitellia ».Da tale scrittura, in epoche, in cui
l'istruzione elevata era privilegio di pochi, fu
facile passare alla lettura « Civitellia », prescindendo
dall'abbreviazione originaria, che avrebbe imposto di
leggere la « C. » puntata « civitas » e
successivamente Vitellia, distaccando i due termini in
tal modo, che la frase suonasse
Civitas Vitellia.Ammessa come probabile la
trasformazione della frase « Civitas Vitellia » nel
vocabolo « Civitellia », il ritenere che il nome
Civitellia si sia definitivamente cambiato in «
Civitella », con la perdita della penultima « i »,
non causa sorpresa, pensando alle variazioni, a volte
molto vistose, dei vocaboli latini, passati nella lingua
italiana.Questa nostra ricostruzione linguistica, per
spiegare in qualche modo la genesi del nuovo
appellativo « Civitella » dall'antico « Civitas
Vitellia », è soltanto un fantasioso arzigogolo? Ci
auguriamo di no. Se l'ipotesi fosse corrispondente
alla realtà, resterebbe svelato il mistero della
successione dei due nomi per l'agglomerato di Monte
Celeste.
Il nome «
Civitella» compare per la prima volta nel diploma
dell'imperatore del Sacro Romano Impero Germanico,
Ottone I, diploma emanato il giorno lì gennaio 967.
Egli concesse il diploma in seguito all'istanza
presentatagli, nella basilica di S. Pietro in Roma,
durante il pontificato di Giovanni XIII, da Giorgio,
ex secundicerio, abate del monastero di S.Benedetto e
S. Scolastica in Subiaco, avendo il fuoco devastato
gli strumenti, trovanti la proprietà monastica, e lo
stesso monastero. In esso fra i beni confermati al
cenobio sublacense « nominatim et generaliter» si
elenca anche « montem, qui vocatur Civitella in
integrum ». Si tratta di proprietà privata e di
dominio feudale. Civitella fu riconfermata al cenobio
sublacense dall'imperatore Ottone I nel 967, ma
ignoriamo la data precisa, in cui essa entrò a far
parte del feudo abbaziale.
Il nome «
Civitella » in documenti storici
L'Imperatore del Sacro Romano Impero germanico, Ottone
I, nel 967 ed il pontefice Leone IX nel 1051 nei loro
diplomi, riconfermando i beni ed i castelli abbaziali
al monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, usarono
il nome « Civitella » per indicare l'intero Monte
Celeste con tutto ciò che conteneva. Leggiamo infatti:
« Confermiamo... il monte, che si chiama Civitella
"montem, qui dicitur Civitella" » .Pasquale
II nel 1115 e Clemente III nel 1189, in cui gli abitanti
di Monte Celeste erano costituiti in potente comune,
denominarono il castello col semplice vocabolo «
Civitella ».Il primo documento storico, a nostra
conoscenza, in cui Civitella si denomina castello, è
il trattato di pace stipulato nel 1230, fra l'abate
Lando ed i signori di Civitella. In esso si legge che i
signori di Civitella per lo stesso castello, « dominos
de Civitella, pro ipso castro », procedettero ad una
amichevole convenzione, dopo molte controversie.
CONTRASTI FRA
L'ABATE UMBERTO E LANDONE DI CIVITELLA
Nei
documenti medioevali dal diploma dell'imperatore ottone
I del 967 fino all'abate Umberto (1050-1069) non si
leggono più notizie su Civitella, L'abate Umberto, di
nazionalità francese, eletto dalla comunità
benedettina sublacense, ricevette la benedizione
abbaziale dal pontefice Leone IX, il quale si era recato
a Subiaco, per visitare il cenobio e lo speco di S.
Benedetto. Tornando dalla Puglia, che aveva raggiunta
per dirigere l'assedio del conte Gisulfo. Leone IX, nel
suo soggiorno monastico, riconfermò al cenobio tutti i
possessi con il diploma del 31 ottobre del 1051. Nel
documento compare anche Civitella con la seguente frase:
« Insuper confirmamur vobis... montem, qui vocatur
Civitella ». Nella seconda metà del mille governava la
popolazione di Civitella un certo Lando o Landone figlio
di Trasmondo. Lando di Civitella insieme al Ildemondo
furono scomunicati nel concilio romano del 1081 indetto
da Gregorio VII e vennero denominati ambedue tiranni
campanini .Una conferma indiretta per Lando di Civitella
e diretta per Ildemondo per la loro provenienza dalla
Campania è data dal Chronicon sublacense, quando
narra che Ildemondo, dopo aver occupato renne, dominio
del monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, non
potendola difendere da solo, la donò a Bartolomeo,
Ciglio del principe di Capua, il quale venuto a Subiaco
con Normanni e Longobardi, tentò di sbaragliare le
milizie abbaziali, ma sconfitto dovette ritornare in
Campania.Questa alleanza e la conseguente azione
militare indicano tenaci contatti fra Ildemondo e la
Campania.
Il Mirzio
afferma anche che Lando di Civitella sia oriundo della
Campania, giacché denomina il padre Trasmondo, conte
di Teano.L'Andreotti sostiene l'identità di Lando di
Civitella e di Ildemondo, dei quali a lungo tratta il
Chronicon sublacense, con i due personaggi scomunicati
dal concilio romano del 1081 osservando che i dati
storici loro relativi concordano con le fonti subiacensi
e che non si conoscono altri, vissuti al loro tempo, ai
quali possano attribuirsi le loro gesta.
Dal 31
ottobre 1051, in cui Civitella è dichiarata possesso
del monastero di Subiaco da Leone IX, al 1052, nel quale
l'abate Umberto non annovera più Civitella fra i beni
del monastero, che cosa era accaduto? Ci sembra ovvio
pensare, riferendoci agli eventi degli anni successivi,
che Landone aveva occupato e sottratto Civitella dalla
giurisdizione del protocenobio sublacense, dando inizio
al suo personale dominio su Monte Celeste, con un
particolare regime comunale. A nostro parere quindi
Landone divenne signore di Civitella tra il 1051 ed il
1052. Landone fu un uomo molto accorto, audace, patente
e temuto, a giudicare dalle sue imprese. Nella sua vita
spiccano i contrasti sorti con gli abati sublacensi
Umberto e Giovanni V. L'abate Umberto governò il
monastero di S, Benedetto e S. Scolastica in Subiaco dal
1050 al 1069. Tra l'abate Umberto e Lando di Civitella
nacque un insanabile dissidio ed andò tanto oltre che
l'abate Umberto catturò Lando e lo mise in prigione.
Chronicon sublacense osserva che l'atteggiamento
dell'abate Umberto fu provocato dal consiglio di
imprudenti uomini, « consilio malorum hominum ».
Lando fu rimesso in libertà, ma non sappiamo a quali
condizioni. Egli tuttavia alimentò nel suo animo una
decisa volontà di rivincita, Preparò minuziosamente
una spedizione punitiva, riuscì a sorprendere fuori del
monastero l'abate Umberto, lo trascinò in Civitella e
lo chiuse in prigione, nel 1065. I monaci, costernati,
si recarono a Civitella, per chiedere a Landone la
liberazione del loro abate, ma egli non volle neppure
riceverli. Di fronte a questo intransigente
atteggiamento, si persuasero di aver perduto per sempre
il loro superiore e consigliatisi, raggiunsero il
monastero di Farfa e vi elessero per loro nuovo abate il
monaco Giovanni figlio di Giovanni di Oddone, religioso
di quella comunità. Lando, conosciuta l'elezione, ne
fu costernato; convocò sublacensi e monaci, stipulò
con loro un trattato e rimise in libertà l'abate
Umberto. Non conosciamo le condizioni imposte nel trattato,
ma è facilmente immaginabile che Landone con esso
indeboli il potere sublacense e rafforzò il proprio. Il
neoeletto abate Giovanni, con dignità e responsabilità
ammirevoli, abbandonato Subiaco, se ne tornò fra i suoi
confratelli di Farfa. Quale motivo indusse Landone a
cambiare improvvisamente politica? Un motivo di
opportunità e di accortezza diplomatica. Egli conosceva
bene che il monaco Giovanni apparteneva alle potenti
famiglie degli Ottaviani, conti di Sabina, e dei
Crescenzi, prevedeva che sarebbe stato sostenuto da
loro anche militarmente e perciò ritenne opportuno di
tenerlo lontano da Subiaco, restituendo Umberto al suo
monastero.L'abate Umberto, recuperata la libertà,
commise un grave errore politico e religioso, perché
< alienavit se a curia romanae sedis ». Egli appare
infatti fra i seguaci dell'antipapa Onorio II.
Questo
nuovo orientamento fu l'occasione dell'abbandono e
dell'ostilità dei suoi monaci e degli estranei di
opposto schieramento politico.Le condizioni del
protocenobio divennero tristissime. Il monaco Giovanni
de Azzo con l'aiuto dei sublacensi e dei suoi
sostenitori si costituì abate di una parte dell'abbazia
e «similiter unusquisque partem, quam poterat invadere,
suam faciebat ».
Il papa
Alessandro II, conosciuta la desolante situazione del
monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, che i suoi
antecessori avevano amato ed arricchito, se ne rammaricò
profondamente ed incaricò il suo arcidiacono
Ildebrando, monaco pio ed ardimentoso, di raggiungere
Subiaco, con chierici e con un drappello di soldati, per
ripristinarne l'antico splendore. Ildebrando raggiunse
il monastero in giugno, in giorno di domenica. Radunati
i monaci nel capitolo, luogo destinato all'ascolto della
divina parola, comunicò loro i fini della sua andata.
L'abate Umberto, che era presente, si avvicinò ad
Ildebrando, depose nelle sue mani il pastorale, confessò
di essere stato la colpa del disastro del monastero e si
dimise. Ildebrando propose ai monaci di eleggersi un
altro abate ed all'unanimità fu eletto il monaco
Giovanni, figlio di Giovanni di Oddone, monaco di Farfa,
appartenente al suo seguito. Avvenne così la sua
seconda elezione ad abate del monastero sublacense nel
giugno 1069 e lo governò fino al 2 maggio 1121 anno
della sua morte.
Inizio pagina
Contrasti fra l'abate Umberto
e Landone di Civitella
Nei
documenti medioevali dal diploma dell'imperatore ottone
I del 967 fino all'abate Umberto (1050-1069) non si
leggono più notizie su Civitella, L'abate Umberto, di
nazionalità francese, eletto dalla comunità
benedettina sublacense, ricevette la benedizione
abbaziale dal pontefice Leone IX, il quale si era recato
a Subiaco, per visitare il cenobio e lo speco di S.
Benedetto. Tornando dalla Puglia, che aveva raggiunta
per dirigere l'assedio del conte Gisulfo. Leone IX, nel
suo soggiorno monastico, riconfermò al cenobio tutti i
possessi con il diploma del 31 ottobre del 1051. Nel
documento compare anche Civitella con la seguente frase:
« Insuper confirmamur vobis... montem, qui vocatur
Civitella ». Nella seconda metà del mille governava la
popolazione di Civitella un certo Lando o Landone figlio
di Trasmondo. Lando di Civitella insieme al Ildemondo
furono scomunicati nel concilio romano del 1081 indetto
da Gregorio VII e vennero denominati ambedue tiranni
campanini .Una conferma indiretta per Lando di Civitella
e diretta per Ildemondo per la loro provenienza dalla
Campania è data dal Chronicon sublacense, quando
narra che Ildemondo, dopo aver occupato renne, dominio
del monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, non
potendola difendere da solo, la donò a Bartolomeo,
Ciglio del principe di Capua, il quale venuto a Subiaco
con Normanni e Longobardi, tentò di sbaragliare le
milizie abbaziali, ma sconfitto dovette ritornare in
Campania.Questa alleanza e la conseguente azione
militare indicano tenaci contatti fra Ildemondo e la
Campania.
Il Mirzio
afferma anche che Lando di Civitella sia oriundo della
Campania, giacché denomina il padre Trasmondo, conte
di Teano.L'Andreotti sostiene l'identità di Lando di
Civitella e di Ildemondo, dei quali a lungo tratta il
Chronicon sublacense, con i due personaggi scomunicati
dal concilio romano del 1081 osservando che i dati
storici loro relativi concordano con le fonti subiacensi
e che non si conoscono altri, vissuti al loro tempo, ai
quali possano attribuirsi le loro gesta.
Dal 31
ottobre 1051, in cui Civitella è dichiarata possesso
del monastero di Subiaco da Leone IX, al 1052, nel quale
l'abate Umberto non annovera più Civitella fra i beni
del monastero, che cosa era accaduto? Ci sembra ovvio
pensare, riferendoci agli eventi degli anni successivi,
che Landone aveva occupato e sottratto Civitella dalla
giurisdizione del protocenobio sublacense, dando inizio
al suo personale dominio su Monte Celeste, con un
particolare regime comunale. A nostro parere quindi
Landone divenne signore di Civitella tra il 1051 ed il
1052. Landone fu un uomo molto accorto, audace, patente
e temuto, a giudicare dalle sue imprese. Nella sua vita
spiccano i contrasti sorti con gli abati sublacensi
Umberto e Giovanni V. L'abate Umberto governò il
monastero di S, Benedetto e S. Scolastica in Subiaco dal
1050 al 1069. Tra l'abate Umberto e Lando di Civitella
nacque un insanabile dissidio ed andò tanto oltre che
l'abate Umberto catturò Lando e lo mise in prigione.
Chronicon sublacense osserva che l'atteggiamento
dell'abate Umberto fu provocato dal consiglio di
imprudenti uomini, « consilio malorum hominum ».
Lando fu rimesso in libertà, ma non sappiamo a quali
condizioni. Egli tuttavia alimentò nel suo animo una
decisa volontà di rivincita, Preparò minuziosamente
una spedizione punitiva, riuscì a sorprendere fuori del
monastero l'abate Umberto, lo trascinò in Civitella e
lo chiuse in prigione, nel 1065. I monaci, costernati,
si recarono a Civitella, per chiedere a Landone la
liberazione del loro abate, ma egli non volle neppure
riceverli. Di fronte a questo intransigente
atteggiamento, si persuasero di aver perduto per sempre
il loro superiore e consigliatisi, raggiunsero il
monastero di Farfa e vi elessero per loro nuovo abate il
monaco Giovanni figlio di Giovanni di Oddone, religioso
di quella comunità. Lando, conosciuta l'elezione, ne
fu costernato; convocò sublacensi e monaci, stipulò
con loro un trattato e rimise in libertà l'abate
Umberto. Non conosciamo le condizioni imposte nel trattato,
ma è facilmente immaginabile che Landone con esso
indeboli il potere sublacense e rafforzò il proprio. Il
neoeletto abate Giovanni, con dignità e responsabilità
ammirevoli, abbandonato Subiaco, se ne tornò fra i suoi
confratelli di Farfa. Quale motivo indusse Landone a
cambiare improvvisamente politica? Un motivo di
opportunità e di accortezza diplomatica. Egli conosceva
bene che il monaco Giovanni apparteneva alle potenti
famiglie degli Ottaviani, conti di Sabina, e dei
Crescenzi, prevedeva che sarebbe stato sostenuto da
loro anche militarmente e perciò ritenne opportuno di
tenerlo lontano da Subiaco, restituendo Umberto al suo
monastero.L'abate Umberto, recuperata la libertà,
commise un grave errore politico e religioso, perché
< alienavit se a curia romanae sedis ». Egli appare
infatti fra i seguaci dell'antipapa Onorio II.
Questo
nuovo orientamento fu l'occasione dell'abbandono e
dell'ostilità dei suoi monaci e degli estranei di
opposto schieramento politico.Le condizioni del
protocenobio divennero tristissime. Il monaco Giovanni
de Azzo con l'aiuto dei sublacensi e dei suoi
sostenitori si costituì abate di una parte dell'abbazia
e «similiter unusquisque partem, quam poterat invadere,
suam faciebat ».
Il papa
Alessandro II, conosciuta la desolante situazione del
monastero di S. Benedetto e S. Scolastica, che i suoi
antecessori avevano amato ed arricchito, se ne rammaricò
profondamente ed incaricò il suo arcidiacono
Ildebrando, monaco pio ed ardimentoso, di raggiungere
Subiaco, con chierici e con un drappello di soldati, per
ripristinarne l'antico splendore. Ildebrando raggiunse
il monastero in giugno, in giorno di domenica. Radunati
i monaci nel capitolo, luogo destinato all'ascolto della
divina parola, comunicò loro i fini della sua andata.
L'abate Umberto, che era presente, si avvicinò ad
Ildebrando, depose nelle sue mani il pastorale, confessò
di essere stato la colpa del disastro del monastero e si
dimise. Ildebrando propose ai monaci di eleggersi un
altro abate ed all'unanimità fu eletto il monaco
Giovanni, figlio di Giovanni di Oddone, monaco di Farfa,
appartenente al suo seguito. Avvenne così la sua
seconda elezione ad abate del monastero sublacense nel
giugno 1069 e lo governò fino al 2 maggio 1121 anno
della sua morte.
Inizio pagina
|