Il
soggiorno di San Francesco a Bellegra
San
Francesco ha reso celebri, con il suo passaggio,
numerosi luoghi in Italia. Tra questi, Bellegra, antica
Civitella, non è certo tra gli ultimi. Come scrivono le
fonti, verso il 1223 il frate, volendo visitare
per devozione verso san Benedetto la grotta dove egli
abitò a Subiaco, si fermò presso il castello di Monte
Casale di Civitella dove, secondo quanto riportato dal
Mirzio (XVII secolo) si trovavano una piccola comunità
fondata alcuni suoi discepoli. Se il viaggio a
Subiaco di San Francesco segna un momento importante
per la storia dei rapporti tra l’ordine benedettino e
quello francescano – sembra infatti che in
quell’occasione il santo compì il miracolo di
trasformare in una pianta di rose il roveto, giaciglio
di san Benedetto durante il suo eremitaggio sublacense
– altrettanto la presenza del santo assisiate a
Bellegra determina in qualche modo l’inizio della
presenza francescana nella zona, o comunque, della sua
affermazione. Incerte
sono infatti le origini del convento di San Francesco
per il quale, essendo stato più volte rimaneggiato,
non è possibile risalire con certezza, attraverso le
analisi stratigrafiche e murarie, all’epoca della
fondazione. Le fonti non sono in tal senso un aiuto:
mentre secondo alcuni agiografi, il convento sarebbe
precedente il supposto soggiorno di san Francesco a
Bellegra, secondo altri il questo gli sarebbe stato
donato dai benedettini, in seguito alla visita a Subiaco
di cui si è già detto. In tal caso, il convento
francescano di Bellegra assumerebbe, nell’ambito delle
relazioni tra i due ordini, lo stesso ruolo del convento
di san Pietro di Subiaco, donato per l’appunto in tale
occasione, come ricorda il Casimiro. La presenza di San
Francesco a Bellegra è attestata, per la devozione, da
più eventi. Il ricordo
di San Francesco a Bellegra è legato tra l’altro,
secondo quanto si può leggere dalle cronache
dell’ordine dei Frati minori, ad una specifica opera
di proselitismo che, considerata la vasta portata del
fenomeno del banditismo nella Valle dell’Aniene a
quell’epoca, ha quasi dell’evento miracoloso. Il
frate avrebbe infatti convertito alla fede 3 briganti
che da tempo affliggevano il castello di Civitella. Se
la storicità dell’evento era dimostrata secondo
alcuni studiosi dalla presenza nel convento di antiche
pitture e iscrizioni che rammentano il fatto,
un’ulteriore convalida è data dal conservarsi delle
loro presunte spoglie, oggi collocate nella cappella di
S. Teofilo da Corte, identificabili con quelle ricordate
nel XVII secolo nella sagrestia della chiesa. Una
ulteriore riprova della presenza del santo a Bellegra è
fornita dall’edicola sacra posta lungo la
strada che conduce al convento. Benché sia stata
realizzata solo nel 1719 per opera di Orazio Pompili,
sindaco apostolico del convento, questa sorge nel luogo
dove, secondo la tradizione, san Francesco si riposò,
appoggiando la testa incappucciata contro una parete di
tufo. Una volta sollevatosi, sarebbe rimasta
l’impronta del cappuccio. Anche
molti dei castagni del bosco che ammanta di verde
il paese di Bellegra sarebbero stati, secondo
tradizione, piantati da Francesco. È certo che, se la
presenza di san Francesco nel convento di Bellegra ha
rappresentato un momento importante per l’affermazione
in seno all’ordine del convento stesso (ancora oggi è
uno dei principali del Lazio), la presenza francescana
in questo di territorio ha rappresentato un momento
importante non solo per la vita religiosa ma anche per
quella civile. A tal
proposito, valga ricordare un ultimo episodio narrato
dalle fonti che, in continuità con l’esperienza di
vita del santo, è indice dell’importanza del ruolo
della comunità francescana di Bellegra anche come
strumento per stabilire un ordine sociale. Il
30 gennaio del 1869 si verificò, secondo le
fonti, un evento eccezionale. Quattro briganti che da
diverso tempo tiranneggiavano le zone limitrofe al
convento, decisero di convertirsi, sollecitati
dall’intervento del beato Tommaso da Cori, frate del
convento. I briganti
lasciarono per voto al convento le loro armi e
munizioni, per poi costituirsi nelle carceri di Monte
Citorio.
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