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In questa pagina vi racconteremo delle storie. Piccole, grandi storie di personaggi, di artisti, di sportivi, di gente "comune" di Bellegra che in qualche modo si è distinta per i traguardi raggiunti, per il suo stile di vita, per aver donato parte o tutta la sua vita all'arte, ad una vocazione, a una professione, ad aiutare gli altri, a un sogno. 

 

Luciano Callori
 
Domenico Carpentieri
 
Margherita Ciani
 
Padre Marco Morasca
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 I PERSONAGGI ... che hanno fatto storia a Bellegra                             Tratto dal giornale Eco.net

 

Luciano Callori

Luciano Callori, nato ad Arcinazzo Romano nel lontano 1935. Bellegrano d'adozione però… infatti non molti anni fa è stato insignito di cittadinanza onoraria bellegrana. E poi anche se non fosse stato per questo è una persona che ha dato molto per un'associazione che vanta ormai una storia quasi trentennale: la banda musicale di Bellegra. Forse l'associazione più anziana di Bellegra, anche se ora un po' in difficoltà organiche ed economiche, con caratteristiche di continuità non indifferenti per un paese di tremila anime. La banda è stata, fin'ora, quasi una seconda casa per me: è infatti dall'età di nove anni (ne sono passati 14) che frequento corsi, prove, concerti, sfilate. Questo è quindi un omaggio doveroso a chi guida dalla sua nascità fino ai giorni nostri questa piccola realtà. Ma ora via all'intervista. 

Prof Callori, quando iniziò a suonare? Iniziai a suonare il 
trombone nel 1944 e entrai a far parte di un piccolo complesso di Arcinazzo Romano. Mi piacque moltissimo, poi partii per Milano a fare il militare; lì incontrai delle amicizie molto valide che mi permisero di restare a Milano e frequentare il conservatorio "G. Verdi". Pensava già di farne una professione? No, l'avevo preso come un gioco, non ci pensavo. Poi da cosa nasce cosa. Quanto tempo ci mise per diplomarsi in conservatorio? Mi diplomai nel 1964 dopo quattro anni di studi in trombone. Poi mi diplomai nel 1966 in composizione. Suonò anche nella banda militare? Sì, dal 1959 al 1960. A Milano finito il militare potei proseguire gli studi di conservatorio e mi andò bene perché ebbi la fortuna di conoscere un maresciallo dell'esercito che mi disse che all'orchestra della Scala occorreva un trombone basso. Io ancora non ero diplomato e glielo feci presente ma lui mi disse che avevo delle buone qualità musicali e che non era il pezzo di carta che fa il musicista… e mi invogliò. Dopo di chè mi misi a studiare bene per qualche mese per fare il provino. E il provino andò bene. In che anno iniziò a suonare alla Scala? Nel '60-'61. Fino a quando è rimasto a Milano? Sono rimasto a suonare alla scala fino al 1978. Quali altre esperienze, da musicista, ha avuto? Ho suonato alla Rai di Torino, a quella di Milano, di Lugano, ho girato molto perché ovviamente lo facevo per professione. Ho suonato alla bussola con la Cinquetti, con Reitano, con Mina. Dopo il '78 cosa ha fatto? Sono tornato ad Arcinazzo e ho cominciato a insegnare musica in varie scuole dei paesi circostanti: Bellegra innanzitutto, poi Subiaco, Agosta, Arcinazzo, Anticoli Corrado, Roviano, Affile ma la mia attività di insegnamento era iniziata già in alcune scuole su a Milano a partire dal 70-71. Come è diventato "professore" della banda di Bellegra? Anni fa ho conobbi il parroco Don Luigi che mi disse che sarebbe stato il caso di rifare una banda qui a Bellegra. Rinunciai anche di andare ad insegnare al conservatorio di Frosinone perché chi me lo faceva fare di fare tutti quei chilometri, ogni giorno, da Arcinazzo a Frosinone. La prima volta da direttore d'orchestra è stato qui a Bellegra? Si, poi dopo qualche anno mi sono dedicato anche alla banda di Olevano e quella di Arcinazzo, per circa 15 anni ho avuto tre complessi. Poi ho lasciato sia la banda di Arcinazzo che quella di Olevano e sono rimasto qui a Bellegra. Adesso abita ad Arcinazzo? Si, ma mi sento sempre cittadino di Bellegra, Arcinazzo per me è un rifugio.

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Domenico Carpentieri

Domenico Carpentieri. Uno sportivo vero, capace di vincere, nella disciplina sportiva praticata, ben due titoli di campione italiano assoluto e di aggiudicarsi la maglia titolare della nazionale per la partecipazione alle lontane olimpiadi di Monaco, svoltesi nel 1972. Domenico era un marciatore. La marcia è una disciplina dell'atletica leggera non molto conosciuta e forse poco apprezzata. Vuoi per il gesto del marciatore consistente non nel correre bensì nel camminare il più velocemente possibile, vuoi per l'andamento forzato e buffo di chi marcia, costretto a non piegare i ginocchi e a non perdere mai il contatto con il terreno… La marcia è uno di quei sport dove quello che prendi è molto meno di quello che dai, che ti fa sudare e che non ti fa diventare ricco e famoso. Domenico nasce a Bellegra il 23 febbraio 1946. La sua infanzia e la sua gioventù sono contrassegnate dalle difficoltà lasciate in eredità da quell'orribile eperienza che va sotto il nome di seconda guerra mondiale, frutto della genialità malata e diabolica delle menti del nazifascismo. Domenico cresce in un'umile famiglia e le opportunità per un ragazzo di Bellegra, all'epoca, non erano molte. Una di queste era rappresentata dalla carriera militare. Infatti, a 20 anni, Domenico non se la lascia sfuggire: "Sono entrato in finanza nel 1964 non per fare sport. Le scelte erano limitate: o si andava in campagna a lavorare, o andavi ai cantieri, o ti arruolavi. Però prima di me si era arruolato mio fratello e mi aveva detto della possibilità di entrare a far parte del gruppo sportivo della Guardia di Finanza." Come si entrava a far parte del gruppo sportivo? "A quei tempi c'erano gare tra battaglioni. Avveniva una selezione tra compagnie, ti facevano provare un po' tutte le specialità dell'atletica come i 100 metri, gli 800, i 3000 siepi, la marcia e così via. A Portoferraio, dove mi avevano destinato, c'era un brigadiere che si interessava di queste cose. Io provai a fare gli ottocento, i millecinque e i tremila siepi; mi feci notare subito perché vinsi quasi tutte le prove che feci. Un giorno mi chiamò un istruttore e mi disse che dovevo provare la marcia perché alle Fiamme Gialle, il gruppo sportivo della G.d.F., servivano marciatori della categoria della mia categoria, cioè juniores. La marcia non sapevo neanche cos'era. Così mi fecero fare 3000 metri di marcia e vinsi anche quella gara. E da lì mi imposero di fare la marcia. Successivamente facemmo le selezioni tra battaglioni e vinsi. Insieme ad altre due-tre persone ci chiamarono da Ostia, dove c'era la sede del gruppo sportivo, per partecipare a gare di campionato di società. La prima gara si svolse a Reggio Calabria. Non mi ricordo come arrivai ma andò abbastanza bene e mi chiesero di rimanere a Ostia. E li iniziò la mia carriera ufficiale." Quali sono stati i primi risultati importanti? "Dopo un paio d'anni mi misi in luce in varie gare di livello nazionale e fui preso in considerazione per vestire la maglia della nazionale. La prima la indossai nel 1970 in Ungheria." Nel 1972 arrivano le olimpiadi di Monaco… "Le olimpiadi erano una cosa talmente grande per me che non mi rendevo nemmeno conto. Purtroppo non andarono bene perché nel periodo precedente a queste mi fecero fare un sacco di selezioni e di gare che non mi diedero la possibilità di preparare bene quella gara e così ci arrivai fuori forma e arrivai 35°, se non ricordo male. Terminai la gara soltanto perché vennero molti bellegrani a vedermi e, per non deluderli, decisi di non ritirarmi. Nel '74 poi partecipai ai campionati europei a Roma e arrivai decimo ma sarei dovuto andare molto meglio, non riuscii a esprimermi al massimo. Ti ricordi dell'episodio dell'attentato compiuto nei confronti degli atleti israeliani, nei giorni dell'olimpiade? "Successe nella palazzina accanto alla nostra, mi affacciai alla finestra e vidi l'esterno dell'albergo che era diventato un campo di battaglia. Dopo sapemmo che alcuni israeliani erano stati sgozzati e gli attentatori si erano barricati in camera di questi e avevano preso altri ostaggi." Hai avuto occasione di partecipare ad altre olimpiadi? "Avrei dovuto fare le Olimpiadi del '76 ma a Montreal tolsero la 50km, la mia preferita, e fecero soltanto la 20km. Io ero rientrato ugualmente nella selezione per la 20km però non mi portarono perché ci fu una storia un po' strana tra il mio allenatore e un altro allenatore, Dordoni, che si litigarono la poltrona di tecnico federale e alla fine per questo ci rimisi io e rimasi a casa. Nell'ottanta, invece, anno delle olimpiadi di Mosca, non me le fecero fare in quanto appartenente a un corpo militare - a Mosca '80 fu impedita la partecipazione a militari e a statunitensi -." Altri traguardi importanti? "Sono stato per due volte campione italiano della 50 km nel 79 e nell'80 e ho vinto parecchie gare di livello internazionale e varie classiche come la Roma-Castelgandolfo o la Sesto S. Giovanni." Quando ti sei ritirato? "Nel '81 ho disputato la mia ultima stagione. Dopodichè ho iniziato l'attività di tecnico del gruppo marciatori delle F.G. e l'ho fatto fino al '94, anno in cui sono andato in pensione. Ma anche da allenatore, con i miei atleti, ho avuto molte soddisfazioni vincendo tutti i campionati di società di marcia a cui abbiamo partecipato."

Palmarés
Domenico Carpentieri ha vinto due titoli di campione italiano nella 50 Km, anche se avrebbe meritato di vincerne di più. Nel 1981 è riuscito, insieme alla squadra azzurra di marciatori, a diventare campione del mondo in Spagna, come i calciatori dell'82, ma a Valencia, non a Madrid. E' stato un campione sfortunato, poteva fare di più. Non è solo colpa sua però: all'olimpiade di Montreal il Comitato Olimpico Internazionale tolse la gara dei 50 Km, il suo cavallo di battaglia, per riammetterla alle successive Olimpiadi di Mosca dove, agli atleti italiani militari, venne impedita la partecipazione. Due Olimpiadi andate in fumo. Ha ottenuto molti piazzamente che, però, tutti insieme non valgono una sola vittoria. In mezzo a questo fior di campioni, Domenico ha comunque trovato il suo spazio, è riuscito a recitare anch'egli la parte del prim'attore. Ha vinto tutte e tre le gare classiche internazionali della marcia che si disputano in Italia: "Giro di Roma"(due volte), "Coppa Città di Sesto S. Giovanni" (una volta) e "Roma-Castelgandolfo" (cinque volte!). Non è poco, considerato che ha anche indossato, onorevolmente, trenta volte la maglia azzurra della nazionale italiana di atletica leggera.

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Margherita Ciani

Margherita è una cantante lirica, genere, insieme alla musica classica, come dire… per palati fini. Margherita è un bell'esempio pratico del detto "chi vuole può": lei è figlia di commercianti che niente avevano a che fare con la musica, non è certo stata spinta dall'ambiente imprenditoriale che si respirava in famiglia, a intraprendere un percorso che l'ha portata a livelli di rilievo internazionale raggiunti dopo anni di studi musicali. Studiare… per tutti faticoso, ma quasi sempre indispensabile per raggiure i propri obbiettivi. Ma ora eccovi l'intervista: Come è scattata la scintilla per la musica? "Io e mia sorella abbiamo sempre respirato musica e sempre abbiamo avuto questo amore specialmente nei confronti del canto, oltre che verso vari strumenti musicali. Mi ricordo che facevo l'asilo dalle suore e loro mi facevano cantare, mi facevano fare delle recitine… è piuttosto un amore innato e che mi ha accompagnato sin da piccola, non mi ricordo di episodi particolari determinanti che hanno fatto scattare una qualche "scintilla"". Quali strumenti musicali hai suonato? "All'inizio strimpellavo la chitarra mi accompagnavo e con mia sorella cantavamo canzoni di musica leggera poi, piano piano, ho cominciato a prendere in considerazione la possibilità di studiare musica seriamente in modo da farla diventare una professione. A 18 anni ho iniziato a studiare flauto traverso al conservatorio di Frosinone; volevo quindi diventare strumentista, non mi era mai passato per la mente di diventare cantante lirica. Durante lo studio del flauto dovevo fare l'esame di solfeggio, nello studio di questo è compresa anche una parte di solfeggio cantato, cioè si solfeggiava cantando. Avevo un professore napoletano che si chiamava Jannone che, sentendomi, si era convinto che io dovessi studiare canto. A me la lirica non interessava, pensavo di diventare flautista e il mio sogno era di entrare a far parte di un orchestra. Però, non so come, a questo professore gli voletti dare retta forse anche perché contemporaneamente c'era mia sorella che aveva cominciato a studiare lirica e mi piaceva ascoltarla." E' più grande di te tua sorella Laura? "No, è più piccola. Mentre io studiavo flauto lei aveva cominciato dopo un po' a studiare canto; lei era soprano lirico leggero con una grande voce e ha studiato al conservatorio romano di "S. Cecilia". Per ritornare a noi io diedi retta al maestro e iniziai a studiare canto. Avevo già fatto cinque anni di flauto, potevo diplomarmi anche in questo strumento ma lo persi per strada perché fui presa totalmente dalla lirica." Cos'è la lirica? "La lirica non è soltanto il canto la lirica è anche teatro. Il cantante lirico è anche attore: recita cantando. Io mi accorsi che tutto quello che non ero nella vita riuscivo ad esprimerlo in un teatro per cui alcuni miei lati caratteriali che non venivano fuori li ho sentiti uscire proprio sul palcoscenico." Quanti anni avevi quando ti sei esibita per la prima volta? "Non si finisce mai di studiare perché il canto è una disciplina nella quale bisogna esercitarsi quotidianamente oltre che studiare imparare a memoria dei spartiti lunghi anche trecento pagine. Mi sono esibitata le prime volte quando avevo 25-26 anni, iniziai a fare piccole parti perché non avevo il coraggio di epormi in parti da protagonista fino poi ad arrivare, successivamente, a interpretare ruoli di maggior rilievo." Riesci a descrivere le sensazioni che provi quando sali su un palcoscenico? "Ho sempre avuto una grande paura anche se chi mi vede non ci crede perché dice che nascondo bene la mia paura. Esporsi davanti a un pubblico è sempre un atto di coraggio perché comunque sono loro che giudicano e quindi il cantante ha il dovere di salire sul palco e fare bene perché comunque deve suscitare una qualche emozione perché se noi non suscitiamo emozioni abbiamo fallito. Ci sono virtuosi, bravissimi, che però suscitano poca emozione, a me piace dare piccoli brividi al pubblico, è importante. L'emozione per darla bisogna sentirla per primi noi. Quando faccio l'opera lirica cerco di penetrare nel personaggio ma bisogna stare attenti a non rimanerci completamente dentro: quando un personaggio ti piace e ti emoziona particolarmente ti prende talmente tanto che non riesci a distaccartene non riuscendo così a dare quel qualcosa di tuo che distingue la tua interpretazione da tutte le altre." Ci racconti di quest'ultima esperienza qui a Bellegra? (Ricordiamo che Margherita insegna canto presso "l'aula rosa" della scuola elementare di Bellegra, insieme ad altri musicisti dell'associazione "Mozart" che impartiscono lezioni in diversi strumenti) "Io per studiare la musica ho dovuto fare molti sacrifici come quello di fare decine di chilometri per andare al conservatorio, e così via. Per questo il mio sogno è sempre stato quello di dare la possibilità ai ragazzi di Bellegra di poter disporre di musicisti diplomati e qualificati. Questa scuola mi sta dando alcune preoccupazioni ma soprattutto soddisfazioni perché già ci sono già due o tre ragazzi che vorrebbero studiare al conservatorio. Ecco, per me è una cosa bella che a Bellegra ci sia un'iniziativa di questo genere che impegna i ragazzi a fare una cosa gratificante per loro stessi." 

Curriculum (molto) sintetico di Margherita Ciani, Mezzosoprano
Diplomata al Conservatorio "L. Refice" di Frosinone, si è specializzata a Roma con il M. Walter Cataldi Tassoni. Ha seguito corsi di perfezionamento di Arte Scenica con i registi Mauro Bolognini e Giuseppe Giuliano. Ha cantato negli Enti Lirici dei teatri Petruzzelli di Bari, Comunale di Firenze, Lirico di Cagliari affiancando grandi nomi della lirica: Giuseppe Taddei, Aldo Protti, Katia Ricciarelli, Ghena Dimitrova e Grace Bambry. Ha cantato in teatri internazionali in: Austria, Romania, Egitto, Malta, Tunisia e Francia partecipando ad opere liriche riprese dalla RAI. Ha debuttato in venti opere liriche ed ha all'attivo numerosi concerti sia sotto forma di recital sia in formazione da camera. Ha ricevuto i premi di riconoscimento: "Mario del Monaco" nel 1991, "Giacomo Lauri Volpi" nel 1992, "Maria Callas" nel 1995 e "Inner Wheel Intemational" nel 1998.

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Padre Marco Morasca

Padre Marco è un missionario agostiniano, un ordine cattolico risalente a S. Agostino, da cui il nome, e svolge la propria attività nell'Apurimac, una regione sulla Cordigliera delle Ande peruviane, a sud del Paese. Dal 1968 gli Agostiniani italiani hanno assunto la cura pastorale di questo territorio ampio 8000 kmq, comprendente tre delle sette province della regione dell'Apurimac: Grau, Antabamba e Cotabambas. L'Apurimac è una delle zone economicamente più depresse e abbandonate del Perù e di tutta l'America Latina. L'altitudine sul livello del mare varia da un minimo di 2500 fino ai 5000 metri. L'economia è di pura sussistenza. La corrente elettrica è presente solo in alcuni centri principali. Le strade sono di terra battuta. Nell'Apurimac il 78% dei bambini soffre di denutrizione cronica, il 99% non può soddisfare le sue necessità primarie, 119 bambini ogni mille muoiono prima di compiere il primo anno di vita. A dare un aiuto concreto agli agostiniani alla realizzazione dei loro obbiettivi c'è l'associazione Apurimac, o.n.l.u.s. L'Associazione, costituita nel 1992, ha come scopo principale la promozione della collaborazione culturale ed economica con i Paesi del terzo mondo, l'aiuto alle missioni, in particolare nei paesi dell'America Latina e ha come fine statutario la collaborazione con i missionari agostiniani italiani che lavorno sulle Ande del Perù. Tra le varie forme di cooperzione, per lo sviluppo della popolazione locale, l'associazione propone iniziative come "Scegli la vita!" che consiste nell'adozione a distanza di un bambino dell'Apurimac. 

 Padre Marco, quando è iniziata la sua esperienza di missionario? Circa 26 anni fa. L'occasione fu un incontro con un mio ex professore di Viterbo. Lui era già in Perù da molti anni, era il vescovo della missione, e mi invitò a passare un paio d'anni con lui. Accettai e due anni sono diventati ventisei. L'esperienza è stata esaltante. Si è trattato di conoscere una cultura differente dalla nostra: gli Incas, abitanti delle alte montagne del Perù, in una situazione molto caratteristica, bellissima nel paesaggio ma che a questa maestosità della natura si affianca una povertà profonda dovuta proprio alla configurazione geografica dei luoghi, molto impervi e quasi privi di vie di comunicazione. La ricchezza principale è rappresentata dalla cultura Andina, caratterizzata da valori molto forti per il senso di comunità e di famiglia allargata, inoltre si assiste a degli scambi di lavoro non remunarati nel campo dell'edilizia, dell'agricoltura quindi tutto quello che riguarda il lavoro vige un sistema di reciprocità e di aiuto mutuo. La sua attività di missionario si è svolta sempre negli stessi luoghi, negli stessi villaggi? Si è svolta nelle provincie che sono state affidate agli Agostiniani d'Italia nella regione di "Apurimac" che nella lingua del luogo significa "Dio che parla". La popolazione è di circa 85000 abitanti. Le direttirci principali di questa attività sono state l'evangelizzazione, la proposta del cristianesimo come fede e la promozione umana attuata con progetti di sviluppo per favorire anche nell'aspetto socio-economico una vita più degna per questi indios, un po' abbandonati, delle Ande Peruviane. Ci può descrivere la "giornata tipo" di un missionario? Io mi alzo tutte le mattine alle 6, a due km da dove siamo abbiamo una comunità di suore che hanno 160 alunni della scuola elementare e alle 6,30 vado lì per la messa. Alcuni giorni ci mettiamo in movimento per i villaggi delle provincie: dalla parrocchia di Cotabambas (dedicata a S.Agostino datata 1571) si parte per i 17 villaggi assegnati, molto distanti, raggiungibili a cavallo (poiché le strade non sono perccorribili con le automobili) e per raggiungere il più lontano di questi ci si impiegano circa 6 ore. Ci dividiamo il lavoro e facciamo queste visite per alcuni una volta a settimana, altri una volta al mese. Quando siamo lì incontriamo la gente, stiamo con loro, facciamo il catechismo, promovuoiamo progetti di sviluppo sia per quanto riguarda la sanità che la scuola, e i beneficiari principali sono i bambini e gli anziani, cioè le categorie più bisognose. Nel pomeriggio abbiamo i gruppi di catechesi. Siamo presenti come organismo sanitario: a Cotabambas, dove io vivo, ci sono due strutture sanitarie pubbliche dove, però, tutto è a pagamento e la gente a volte non ha soldi per curarsi, allora si rivolge all'ambulatorio parrocchiale, infatti siamo abbastanza forniti di medicine e c'è una suora che è diplomata infermera che si preoccupa dei malati in ambulatorio e fa anche delle visite a domicilio. La sera alle 5,00 c'è la celebrazione della messa con rosario e a volte dopo la cena ci sono gruppi di catechesi. Così finisce la giornata. La gente di Bellegra sostiene la sua attività? Di Bellegra devo dire, con orgoglio, che ci ha sempre sostenuto sin dall'inizio della missione, la gente è stata fantastica ma anche le scuole, il Comune, la Banca, ecc. Adesso, per esempio, con la scuola elementare stiamo allargando il lavoro che prima si faceva soltanto a Bellegra, alle scuole di Roiate, Rocca S. Stefano, S. Vito R., Genazzano, Valmontone, Cave e Palestrina, attraverso il coinvolgimento di questi istituti scolastici al tema della solidarietà e della pace e stanno rispondendo in maniera eccezionale. Quando ritornerà in Perù? Ritornerò probabilmente a marzo ma l'operazione chirurgica a cui mi sono sottoposto recentemente non mi permetterà di rimanerci a lungo.

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